In un mondo che si riscalda a ritmi senza precedenti, l’allarme lanciato agli Stati generali della green economy è un campanello d’allarme che non può essere ignorato. Le proiezioni attuali indicano che, entro il 2030, le emissioni globali di gas serra saranno ridotte al massimo del 10% rispetto ai livelli del 2010. Questo dato è in netto contrasto con l’obiettivo del 45% stabilito dall’Accordo di Parigi del 2015, un traguardo che appare sempre più lontano e irraggiungibile.
La situazione è aggravata dal fatto che, nonostante gli sforzi internazionali, le emissioni annue nel 2022 hanno visto un incremento del 4% rispetto al 2015, l’anno in cui fu siglato l’accordo storico. Questo aumento è un chiaro segnale che le politiche attuali non sono sufficienti per contrastare l’inarrestabile avanzata del cambiamento climatico.
Il 2023 si è aperto con un record indesiderato: è stato l’anno più caldo mai registrato, inserendosi in un decennio che ha visto nove degli anni più caldi della storia. Questi dati non sono solo cifre astratte; si traducono in disastri naturali sempre più frequenti e devastanti, come quelli che hanno colpito la Toscana recentemente, trasformando eventi che una volta erano considerati eccezionali in una nuova norma climatica.

Emissioni e punto di non ritorno
La crisi climatica ha raggiunto un punto di non ritorno, tanto che la prossima Cop28 di Dubai non si concentrerà più sulla mitigazione, ovvero sulla riduzione delle emissioni, ma sull’adattamento alle conseguenze già in atto del cambiamento climatico. Questo cambio di prospettiva è una tacita ammissione che il tempo per prevenire gli impatti più gravi del riscaldamento globale sta scadendo rapidamente.
Il relatore Andrea Barbabella ha evidenziato una delle ingiustizie più stridenti del cambiamento climatico: il continente africano, che ha contribuito minimamente alle emissioni globali, si troverà a fronteggiare il 50% dei decessi correlati al clima nei prossimi anni. I Paesi in via di sviluppo necessitano di 380 miliardi di dollari all’anno per l’adattamento, ma ricevono solo una frazione di tale somma dai Paesi più ricchi.
Uno scenario cupo
Nonostante questo scenario cupo, c’è una luce in fondo al tunnel. La transizione energetica è già una realtà in movimento. Nel 2022, gli investimenti globali in energia pulita hanno raggiunto la cifra impressionante di 1.700 miliardi di dollari, superando gli investimenti nelle fonti fossili. Questo è un segnale positivo che indica una tendenza al ribasso per le fonti di energia più inquinanti e un interesse crescente verso le rinnovabili.
Tuttavia, la domanda che si impone è: sarà sufficiente? La transizione energetica, sebbene promettente, deve accelerare il passo per compensare i decenni di inerzia e le politiche ambientali inadeguate. È necessario un cambiamento radicale nel modo in cui produciamo e consumiamo energia, accompagnato da un impegno finanziario e politico senza precedenti.
In conclusione, il cammino verso un futuro sostenibile è costellato di ostacoli e sfide. L’allarme lanciato è chiaro: o agiamo ora con decisione, oppure ci troveremo a gestire le conseguenze di un clima irrimediabilmente alterato. La storia ci giudicherà per le azioni che intraprenderemo in questo momento cruciale, e il tempo per scegliere il percorso giusto si sta esaurendo.